Filippo Turetta, la notte di sabato 11 novembre, uccide a coltellate la sua ex fidanzata, Giulia Cecchettin, in seguito a una lite. E’ l’ennesimo caso di femminicidio durante questo 2023.

Dopo la notizia di quel sabato mattina, in cui Giulia è stata ritrovata senza vita, si è spezzato il cuore a tutti, e anche solo per un attimo ci siamo sentiti impotenti. In questi anni, si è cercato in ogni modo di istruire le ragazze e le donne quando una relazione amorosa rischia di trasformarsi in altro. A scuola si parla perennemente di questo tema, non c’è trasmissione televisiva che non ribadisca l’importanza di denunciare, di rivolgersi a un centro antiviolenza quando ci si sente sotto assedio, di non presentarsi mai al cosiddetto ultimo incontro. Eppure la tragica fine di Giulia ci rivela che tutto questo non basta.

Come si è arrivati a tutto questo? Cosa ha portato Filippo a compiere quel folle gesto? Da dove origina? Per molti rappresenta il residuo di una cultura patriarcale che impedisce al maschio di accettare l’esperienza dell’abbandono d’amore. Io, però, penso che nel gesto di Filippo ci sia molto altro.

Secondo diverse testimonianze, tra cui quella della sorella di Giulia, Elena Cecchettin, era un ragazzo decisamente possessivo, che dopo la loro rottura della loro relazione, durata quasi due anni, non ha saputo accettare la separazione e andare avanti: ha preferito vivere nel passato, e tentare in ogni modo di manipolare Giulia con frequenti episodi di violenza psicologica, verbale ed emotiva. Sapeva di avere dei problemi ma non voleva guarire, non cercava aiuto, non voleva stare meglio.

La logica che sta sotto questo terribile delitto è l’odio: questo ragazzo in fondo odiava sé stesso per la propria fragilità. Di fronte al dolore dell’abbandono amoroso, non ha trovato in sé risorse interiori che gli abbiano permesso di poterlo attraversare, per rischiare e aprire nuove strade, per cercare la propria gioia non basandosi sull’individualismo e sul possesso, ma su una gioia duale e quindi condivisa.

La società di oggi ha preteso di promuovere e consegnare a noi giovani una vita basata sull’individualità e sulla felicità assoluta, dove tristezza, fallimento e paura sembrano non esistere. L’educazione alla dualità e ai sentimenti non esiste. Devi essere sempre felice, vincente e potente. Poi, la vita accade, e con essa anche dolore, sconfitte e cadute.

Forse a Filippo sarebbe bastato soltanto capire che, quello che lui vedeva come fallimento e motivo di morte, nascondeva anche una prova di coraggio che lo avrebbe portato a una grande rinascita: accettare un rifiuto implica avere consapevolezza della propria fragilità, comprendere che amare non significa possedere e nemmeno mostrarsi “veri uomini” per rispettare i canoni della società di oggi, ma essere uomini veri. Probabilmente Filippo non era minimamente a conoscenza di questa differenza.